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Paradise Falls I-II

La recensione 02/19

Paradise Falls I-II Don Robertson Nutrimenti Edizioni Don Robertson uno dei più grandi autori meno conosciuti d’America (parola di Stephen King), ci ha raccontato l’amore e la memoria nello struggente “L’ultima stagione”, la disillusione e la disperazione nel crepuscolare “L’uomo autentico”, e ora ci racconta gli U.S.A. come nessuno ha fatto prima di lui...


Il grande Sogno Americano, ammesso sia realmente esistito, è durato davvero per un brevissimo periodo. Ed è stato, per l'appunto, solo un sogno. Quello che è arrivato successivamente è altro: gloria, potere, ricchezza. Ad ogni costo, con ogni mezzo.
Questo è ciò che esprime Don Robertson nel monumentale "Paradise Falls" pubblicato dalla mirabile casa editrice Nutrimenti in due volumi: il Paradiso (ottobre 2018) e l'Inferno (giugno 2019). Alla fine della Guerra di Secessione, la più sanguinosa e violenta delle guerre fino a quel momento, gli Stati Uniti ebbero l'opportunità di costruire qualcosa di nuovo, e di decidere come realizzarlo. Poteva essere l'Arcadia, un modello di vita sano, integro e onesto, in cui lavoro, rispetto e collaborazione avrebbero potuto convivere e far emergere la Virtù da ognuno dei suoi abitanti. Questo era l'obiettivo di Ike Underwood e di sua moglie Phoebe, i due filantropi della cittadina. Questo il loro Sogno. Queste le fondamenta su cui costruire Paradise Falls, villaggio che voleva diventare città nel 1865, in Ohio, nel cuore dell'America appena riunita. 

Ma sono sufficienti pochi anni per assistere alla nascita e all'evoluzione di un nuovo tipo di individuo, rappresentato da Charles Palmer Wells: calcolatore, truffatore, astuto e opportunista che risponde ad una filosofia implacabile basata su due semplici concetti: possibilità e mortalità. 

Si delinea così una contrapposizione classica tra chi si impegna senza cedimenti per il bene pubblico e chi invece guarda alle opportunità anche a scapito della morale, mirando esclusivamente al potere. E questa dualità permea 1600 pagine dense di avvenimenti e ricche di personaggi; personaggi magnificamente descritti: nobili o patetici, subdoli o profondi, ambiziosi o perduti. Personaggi che si muovono all'interno di una scenografia pirotecnica, tra nuovi e moderni edifici, banche, linee ferroviarie, miniere di carbone e chiese monumentali. 

L'America che cambia, che si evolve. L'Arcadia che prima scricchiola e poi soccombe. 

Il romanzo diventa un caleidoscopio di caratteri, un enorme e complesso organismo che muta ad ogni pagina, si evolve, si contorce, ricerca la luce per poi sprofondare negli abissi. 

Paradise Falls, una città (immaginaria) e la sua storia dal 1865 al 1900, il periodo in cui gli Stati Uniti decisero di diventare quelli che tutti noi ora conosciamo; solo che Don Robertson lo descrisse nel 1965. Ed è questo a rendere così prezioso questo libro, esattamente come i grandi classici della letteratura: la sua preveggenza. 

Con una lingua mutevole ed elegante, uno degli autori U.S.A. più ingiustamente dimenticati, mette in scena una tragedia corale di straordinaria intensità, e lo fa servendosi di una struttura tremendamente ambiziosa. Ma riesce pienamente nel suo intento. Il talento di Robertson gli consente di utilizzare un gran numero di stili e di variare continuamente il registro, in modo da tenere il lettore costantemente incollato alla pagina. Tutto è miracolosamente in equilibrio, ogni singola pagina trasuda passione. Nulla è lasciato al caso. 

Il risultato è un monumento alla letteratura intesa come veicolo di storia, politica, psicologia, sentimento e indagine sull'essere umano. Quello che ci troviamo tra le mani è un’opera che tra 100 anni manterrà intatti il suo valore e la sua potenza visionaria.

Un plauso obbligatorio va a Nicola Manuppelli, scopritore e traduttore di questo gioiello, con il quale presto avremo la possibilità di dialogare su Don Robertson e le sue opere. E sicuramente gli domanderemo come diavolo abbia fatto a tradurre Paradise Falls!