[ ] Il mestiere di leggere

Recensioni, interviste, appunti e altre cianfrusaglie

Le interviste - Edizioni Black Coffee

Il mestiere di pubblicare

Il mestiere di pubblicare Sara Reggiani/Leonardo Taiuti Edizioni Black Coffee Proseguiamo il nostro viaggio nelle case editrici giovani, belle ed entusiasmanti che stanno donando nuova linfa al panorama editoriale italiano! Oggi intervistiamo Sara Reggiani e Leonardo Taiuti, ovvero Edizioni Black Coffee....


Nata nel 2017, Black Coffee pubblica letteratura nord-americana, con particolare riguardo per autori esordienti, e raccolte di racconti, senza rinunciare però a recuperare opere ingiustamente dimenticate o ignorate nel nostro paese. Dal febbraio 2018, inoltre, è diventato l’editore italiano della rivista letteraria Freeman’s, diretta dallo scrittore e critico John Freeman, che con cadenza annuale propone racconti, poesie e saggi, raccogliendo i contributi di autori provenienti da ogni parte del pianeta: un osservatorio privilegiato sulle tendenze nel mondo della letteratura.

- Pubblicare esclusivamente autrici e autori nord-americani rappresenta indubbiamente una scelta coraggiosa. Pur rappresentando storicamente una scuola letteraria di importanza fondamentale, la narrativa americana continua a dividere i lettori. Da cosa è dettata la vostra scelta? Da una vostra particolare passione?

Per prima cosa, una premessa. Black Coffee è nata dall’idea di due traduttori desiderosi di portare in Italia opere inedite di autori americani. In passato ci eravamo trovati il più delle volte a lavorare su opere di statunitensi, e da quando abbiamo deciso di aprire Black Coffee non abbiamo fatto altro che approfondire le nostre conoscenze, specializzarci su quella parte di mondo. Ci rechiamo spesso negli Stati Uniti, e nel corso degli anni la nostra passione per quel Paese si è consolidata radicandosi sia nelle scelte di catalogo per la casa editrice, che nella nostra vita.

Per tornare alla tua domanda, non la vedo come una scelta coraggiosa, la letteratura americana ha tanto da dire che l’editoria italiana spesso non coglie. Coraggiosa, semmai, è la scelta di dare spazio agli esordienti, alle voci nuove e controverse, alle raccolte di racconti, agli autori che in Italia sono passati sotto silenzio per anni.

- Esiste uno storico preconcetto nei confronti della letteratura americana, soprattutto quella contemporanea. Sembra meno “seria” della letteratura europea. Partendo dal presupposto che noi non siamo affatto d’accordo con chi lo perpetra, a cosa è dovuto secondo voi?

Gli americani hanno indubbiamente una “leggerezza” che noi non abbiamo mai avuto, e questo è senz’altro dovuto alla storia culturale. Affrontano certi argomenti con uno sguardo meno viziato da certe sovrastrutture, chiamiamole così, che invece opprimono l’europeo. Questo non significa che le tematiche di cui scrivono siano frivole, al contrario (fermo restando che proprio come noi sono capaci di toccare apici di stupidità e superficialità indicibile). È solo l’approccio a essere diverso. La leggerezza, intesa come la intendeva Calvino, è una virtù. Se noi italiani ogni tanto riuscissimo a prenderci un po’ meno sul serio, ad esempio, sarebbe davvero una gran cosa.

- Siamo convinti che se quei lettori riluttanti leggessero le vostre pubblicazioni cambierebbero idea. Perché i romanzi e le raccolte di racconti del vostro mirabile catalogo vanno a comporre un mosaico di voci incredibilmente originale, stimolante, a tratti anche sofisticato. L’America letteraria non è solo cowboys, scriteriati gangsters o spacconi arricchiti (che vanno comunque bene!), c’è anche altro…

Grazie di averlo notato, siamo particolarmente fieri di questo concetto di “mosaico” che hai sottolineato nella tua domanda. È un’idea che cerchiamo di portare avanti con ogni pubblicazione, ci proponiamo di fare in modo che il lettore italiano goda di uno sguardo quanto più sincero e attuale del panorama letterario americano. Per questo ogni titolo del nostro catalogo è in un certo senso “collegato” ai precedenti e ai successivi, perché se idealmente qualcuno li leggesse tutti riuscirebbe a capire meglio questo strano, contraddittorio e misterioso Paese che è l’America.

- In particolare voi mettete in evidenza delle autrici giovani e dal talento cristallino (come avviene anche nella letteratura sud americana): Bonnie Nazdam (semplicemente magnifica), Rita Bullwinkel (ipnotizzante), Alexandra Kleeman (perturbante). Voci incredibilmente acute, occhi potenti in grado di vedere oltre ai vestiti e oltre alle pietre. E’ un segnale importante in un’epoca di conflitti fra generi; non è casuale vero?

Assolutamente no, come dicevamo prima l’intento è quello di dare spazio a voci nuove, fresche, che trascendano i generi letterari per darci modo di vedere quello che sta accadendo davvero. E quindi abbiamo Bonnie Nadzam, con il suo commovente ritratto della VERA provincia americana, dei legami che si sfaldano, dell’amore che vacilla e delle vite che si complicano irrimediabilmente. Poi c’è Alexandra Kleeman, newyorchese atipica (vive a Staten Island) che parla di corpo, cibo e identità, e affronta in un modo tutto originale temi già abbondantemente trattati. E Rita Bullwinkel, una nomade dei giorni nostri, che oggi vive a San Francisco ma che è passata da un posto all’altro senza soluzione di continuità, con la sua raccolta di racconti getta una luce nuova sui legami famigliari, sull’amore, su cosa significa essere vivi.

- Un altro grande merito è quello di aver pubblicato libri di denuncia; duri ma necessari. E scritti magnificamente. Parliamo di “Boy erased”di Garrard Conley , shockante testimonianza di come l’omosessualità sia ancora considerata una malattia in certe zone degli States, e “Il giusto peso” di Kiese Laymon, che ci aiuta a capire come il razzismo non sia mai scomparso e come continui a pesare come un macigno sulle spalle degli afroamericani. Dunque la letteratura per voi non è solo raccontare storie, ma anche indagare sulla società e le sue criticità?

Ci mancherebbe altro, certo! Rientra tutto nella missione che ci siamo dati, che come ti dicevo punta a mostrare ai lettori italiani l’America di oggi. E come potremmo portarla avanti con onestà se non traducessimo anche libri considerati “scomodi”, libri che raccontano la vita degli americani e tutta la fatica che spesso fanno per trovare il proprio spazio nella società tra razzismo, religione, pregiudizi, povertà e squilibri economici?

- Date ampio spazio anche ai racconti, forma letteraria che da un paio di anni, per fortuna, è tornata a occupare con costanza gli scaffali delle librerie. Nella vostra casa editrice, che è un vero e proprio osservatorio sul linguaggio e la comunicazione, sui concetti di identità e rappresentazione, quale contributo danno i racconti?

Semplicemente non crediamo che quella del racconto sia una forma letteraria che occorre distinguere dal romanzo o dal memoir. Se una raccolta di racconti è ben scritta, ha qualcosa di interessante da dire e rientra nei parametri del nostro catalogo, non ci domandiamo certo se inserirla o meno solo perché si tratta di narrazioni brevi. Prendi ad esempio Mary Miller, o Rita Bullwinkel: le loro raccolte sono diversissime, ma entrambe indagano la natura umana in profondità – una è più focalizzata sul mondo femminile, l’altra sull’aspetto più onirico dei rapporti interpersonali – e le abbiamo pubblicate con orgoglio. Per non parlare poi di Joy Williams, l’autrice più importante che abbiamo in catalogo, una delle più grandi narratrici americane viventi: di lei abbiamo pubblicato non una semplice raccolta, ma un’antologia di 46 racconti lunga quasi settecento pagine, e a pochi mesi dall’inizio delle pubblicazioni. Quindi, come vedi, niente pregiudizi verso il racconto, ma anzi, spesso la forma breve è il miglior mezzo per esprimere qualcosa andando dritto al nocciolo della questione (un’arte di cui Joy Williams è maestra indiscussa).

- Oltre che editori siete entrambi traduttori. Dunque: viaggiate, scoprite, leggete, traducete e pubblicate. Questo fa di voi una casa editrice “di altri tempi” con un approccio artigianale e questo fa si che ogni libro pubblicato sia un vero e proprio progetto, una gestazione. Forse serve proprio questo all’editoria italiana? Un tornare a credere e a vivere in prima persona i libri che poi finiranno sul mercato?

Non abbiamo la presunzione di voler insegnare a nessuno a fare l’editore. Siamo solo convinti che il nostro approccio sia quello che serve per una casa editrice come Black Coffee, che fa della ricerca sul campo la propria forza. Come hai detto tu viaggiamo molto negli Stati Uniti, andiamo là almeno un paio di volte all’anno per consolidare i rapporti già in essere e per crearne di nuovi, per scoprire case editrici e autori sconosciuti, per partecipare ai festival, per visitare le librerie indipendenti e parlare con i librai. È un approccio che potrebbe non funzionare per tutti, molti editori sono tanto più grandi di noi, pubblicano più libri e forse non avrebbero tempo di lavorare così, ma per noi è perfetto. È la dimensione che ci siamo scelti, pochi libri ma tutti lavorati con cura, tutti che abbiano qualcosa da dire e che siano parte integrante di un discorso più ampio, un coro. Per questo motivo ci teniamo particolarmente a non “abbandonare” nessun titolo del catalogo, ma periodicamente cerchiamo di rilanciarli, perché siamo convinti che siano tutti importanti per l’organicità della nostra proposta.

- Anche voi avete lavorato in altre case editrici prima di creare la vostra. In un paese che, per citare gli Zen Circus, è pieno di vecchi senza esperienza, siete una bella eccezione, e siete in buona compagnia. Sta cambiando qualcosa? C’è maggior volontà di prendersi rischi e responsabilità?

Siamo sicuramente in buona compagnia, penso a Racconti, CasaSirio, Marotta e Cafiero, Glifo, Edicola, Effequ, tutte case editrici guidate da giovani professionisti animati da grande passione e serietà. Il nostro percorso è stato particolare, ma veniamo da una lunga esperienza con editori più grandi e come liberi professionisti, il rischio che ci siamo presi è stato – più o meno – calcolato, crediamo semplicemente di avere tutte le carte in regola per dire la nostra nell’attuale panorama editoriale.

- Ci piace mettere in evidenza come stiano lavorando bene, con entusiasmo e serietà le giovani case editrici. E con le vostre attività parallele, come l’uso di social networks, podcast (il vostro è bellissimo), presentazioni, tournee, state facendo crollare quel fastidioso schermo che allontanava il lettore dall’editore.  Anche per voi al mondo del libro è necessaria maggiore “orizzontalità”?

Sicuramente, crediamo che i meccanismi canonici debbano essere sovvertiti; oggi con i social è quasi impossibile mantenere le distanze, quindi perché non potenziare la cosa? Noi per esempio siamo fierissimi di essere stati i primi editori indipendenti a realizzare un podcast, Black Coffee Sounds Good, un mezzo cioè che ci ha permesso di ridurre il numero delle presentazioni tradizionali e arrivare direttamente a casa dei lettori. La nostra newsletter, sempre in questa ottica, ha toni molto informali, così come la nostra comunicazione social. Per noi ogni scusa è buona, insomma, per accorciare le distanze. Pubblichiamo per la gente e con la gente vogliamo dialogare.

- Cosa dobbiamo aspettarci da Black Coffee nel futuro?

Non riposeremo sugli allori, puoi starne certo. Innanzitutto, come avete visto, a dicembre abbiamo lanciato una nuova collana, “Nuova Poesia Americana”, piccole antologie contenenti sei poeti statunitensi a cura di John Freeman e Damiano Abeni. Ogni poeta scelto dai curatori decide di persona quali opere mandarci, per dare ai lettori italiani un assaggio esaustivo del proprio lavoro. Damiano si è occupato (e continuerà a occuparsi) della traduzione e della scelta dei poeti insieme a John, che invece firmerà la prefazione di ogni volume. A dicembre, per la fiera di Roma, è uscito il volume 1 (su sei, quattro sono poeti laureati degli Stati Uniti), e contiamo di rendere annuale questo appuntamento con la poesia, esattamente come nel caso di Freeman’s. Quest’anno, poi, porteremo per la prima volta in libreria l’opera dimenticata di un maestro della letteratura americana e ci spingeremo verso orizzonti inesplorati, dando spazio alla letteratura naturalistica, la nostra nuova passione. E arriverà la prima autrice canadese.

E poi chissà, come ti dicevamo tante cose bollono in pentola…

- Ora ci salutiamo con il nostro rito: di’ qualcosa ai nostri lettori, utile inutile non importa, quello che ti passa per la testa!

Siamo piccoli e facciamo scelte forse azzardate, ma se vi fiderete di noi vi accompagneremo in un viaggio americano che difficilmente dimenticherete!

- Grazie mille, continuate così, e SICURAMENTE a presto, qui, nell’estremo nord-est di frontiera!

Non vediamo l’ora!