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Il convalescente

La rencesione 03/19

Il convalescente Jessica Anthony Pidgin Edizioni E poi a volte capita che ti lasci irretire da una copertina, decidi di prendere quel libro e leggerlo, e scopri di avere tra le mani un piccolo gioiello. Ti entusiasmi, ti ci affezioni, vuoi consigliarlo a tutti, ma devi pensare bene a come fare, perché non vuoi “bruciarlo”, perché ci tieni davvero...


Un caro cliente spesso mi ripete “Non dire troppo della trama quando consigli un libro. Dì dove siamo, il periodo storico e altre due tre cose tanto per inquadrare il romanzo”. E credo abbia ragione: il buon lettore preferisce scoprire da sé anche i risvolti più innocui di una storia, perché dal momento in cui inizia a leggerla, quella storia è solo sua, e deve avere la possibilità di intuire, interpretare, anche di stupirsi di fronte ad avvenimenti comunemente ritenuti banali o ininfluenti se quella è la sua disposizione d’animo. 

Per cui dirò solo un paio di cose riguardo alla trama de “Il convalescente” di Jessica Anthony, pubblicato da una delle case editrici più promettenti del panorama “giovane” italiano, la Pidgin: Rovar Ákos Pfliegman (un nome che già odora di storia interessante, un nome come un sigillo da portarsi appresso sempre e per sempre) vive in Virginia, Stati Uniti d’America, ai giorni nostri. E’ quasi nano, muto, zoppo, vive in un autobus abbandonato, vende carne ed è l’ultimo discendente di un’antica stirpe magiara, tra le meno nobili nella storia di quella che oggi chiamiamo Ungheria. 

Questo vi deve bastare. 

“A me interessano le questioni parallele: sensazioni, tematiche… aggettivi; quelli, se scelti bene, a volte determinano la mia scelta” dice sempre quel cliente.

A questo punto devo confessare di avere un problema con uno degli aggettivi che userei per questo romanzo, perché è anche uno degli aggettivi che più spesso vengono fraintesi e male interpretati. La parola in questione è: grottesco. Capita di frequente che il cliente a cui mi rivolgo, alla pronuncia di questo termine, cambi strada. Probabilmente gli conferisce un’accezione negativa , immagino che lo associ a qualcosa di volgare, degradato, ripugnante. Non è così. Il grottesco può essere ricercato, arguto, penetrante, sofisticato. Se apriamo il vocabolario, troviamo questa definizione: in letteratura, uno degli aspetti del comico, fondato su una voluta sproporzione degli elementi costitutivi di un momento drammatico

Perfetto. 

Ora dovremmo aprire un capitolo sul “comico”, ma non è il caso; basti sapere che non significa sempre sganasciarsi dalle risate, battute, sketch e gente che sbatte negli stipiti delle porte.

“Il convalescente” è un racconto grottesco di grande profondità. Dilata e distorce, ma con misura e intelligenza. Attinge al surreale, ma per avvicinarci al protagonista, alle sue visioni, alla sua vita. 

Tutti conosciamo qualche personaggio bizzarro, quegli individui che si muovono con andature misteriose, come se mancasse qualche fotogramma al loro film. Oggi si dice borderline, i nostri genitori li definirebbero buoni cristi: persone che a volte ci fanno ridere, altre volte ci spaventano o ci fanno rabbia, ma che spesso diventano dei leitmotiv, li ritrovi sempre, sono parte integrante della nostra scenografia. Persone con le quali magari a volte parlottiamo sfiorando per qualche minuto la loro eccentricità. Magari ci divertono pure, talvolta ci fanno tenerezza, ci spingono a chiederci “come sono diventati così?” o “qual’è la loro vita?”, salvo poi dimenticarcene quando le strade si separano. 

Jessica Anthony ci permette di conoscere una (ma forse cento, mille, milioni) di queste esistenze, dando voce ad un muto, che scrive la sua storia e descrive la sua vita con onestà e candore. E gradualmente l’ombra che si muove lenta al limite del nostro campo visivo si sposta e quasi timidamente si posiziona nel centro della scena, lasciandoci spiazzati, perché non siamo soliti dare importanza a ciò che è marginale, ma soprattutto, normalmente, non pensiamo possa turbarci più di tanto. Un libro, questo libro, lo può fare.

Rovar ci prende per mano con gentilezza, ci accompagna nel suo strano mondo sghembo, nel suo passato sorprendente. Ci strattona leggermente quando ci distraiamo, ma senza cattiveria. Crea delle piccole, volute sproporzioni degli elementi costitutivi dei suoi momenti drammatici. Ci diverte, ci incuriosisce, ci commuove. 

Non è una polemica sociale, non è il solito discorso moralista sull’empatia e l’inclusione del diverso. Ci sono, ci sono state e ci saranno sempre persone buone e accoglienti, persone gentili e disponibili, ma anche persone cattive e intolleranti, o indifferenti ed egoiste. Lo sa anche Rovar

Ma ci saranno anche sempre individui che vorrebbero tanto raccontare la loro storia, così gli altri potrebbero conoscerli e capirli; o magari ascoltarli e poi andare avanti come se nulla fosse. Solo che non hanno la voce per raccontarlo. 

Ecco, “Il convalescente” di Jessica Anthony è quella voce assente, una voce che approfitta dello spazio che le viene concesso per raccontarci una storia in un modo meraviglioso, tanto che ci fa venir voglia di andare a cercare tutti i poveri cristi della nostra vita e chieder loro di raccontarci la (loro) storia.