I loghi delle case editrici italiane Pt. 1
In principio fu il marchio di fabbrica.
Una incisiva impronta lasciataci dalla seconda Rivoluzione Industriale è stato sicuramente il marchio di fabbrica; un segno distintivo si rese necessario per mettere un po' di ordine in tutti quei prodotti che uscivano da fabbriche e manifatturiere ad invadere il mercato della seconda metà dell'Ottocento, affinché si sapesse chi li aveva prodotti e attraverso quale procedimento; in Italia è del 1868 la prima legge che regolamenta l'apposizione di questa firma sui diversi articoli commerciabili. Da allora, questa primitiva idea di logo, entrò nella quotidianità di molti... ma non di tutti, perché ad alcuni individui questa consuetudine era già nota da più di tre secoli, e questi individui erano, nella fattispecie, lettori, eruditi, appassionati di libri, librai, intellettuali, tipografi e stampatori.
E proprio gli stampatori furono i primi ad apporre un simbolo, in calce ad ogni volume stampato, che prese il nome di “marca tipografica”, uno dei più famosi fu il veneziano Aldo Manuzio, che adoperò l'immagine di un'ancora con un delfino attorcigliato intorno. Queste polverose botteghe imbrattate di carta, inchiostro e rumore di pressa furono la culla di quella figura che ai nostri giorni chiamiamo, con un certo brivido lungo la schiena, l'editore.
Un ruolo via via cresciuto sempre più nei decenni, assumendo forme sempre più nuove, rinnovandosi nelle caratteristiche e peculiarità, dandosi carico di nuove professionalità, dalla correzione delle bozze alla promozione di una determinata opera, dalla scelta del font con cui stampare il prodotto libro, alla collana in cui inserirlo, dalla scelta della copertina al prezzo. E tutti questi talenti andavano valorizzati e sublimati, resi immediatamente riconoscibili soprattutto in un'epoca come il Novecento, secolo dell'immagine per antonomasia, che ci ha fatto masticare a lungo parole come design e grafica, e che ci ha introdotti e proiettati nel nuovo millennio, all'oggi, al tempo in cui siamo circondati da immagini e disegnini di ogni sorta, dalle scarpe che indossiamo, alle app che scarichiamo sullo smartphone, ai negozi in cui facciamo acquisti.
Tutto è logos dicevano gli antichi filosi greci seguaci dello stoicismo, tutto è logo direbbe invece oggi, e con un certo smacco, Naomi Klein.
E il mondo dell'editoria si è adeguato ai tempi, gettandosi a capofitto nel fantasmagorico mondo delle immagini e del brand (per usare un termine tanto caro agli addetti ai lavori), qualcuno si è mantenuto sul classico e sull'idea romantica della marca tipografica, qualcun altro ha osato di più cedendo alle lusinghe di una certa arte astratta e concettuale, fino ad accarezzare i confini del minimalismo più sfrenato.
E allora vediamoli da vicino questi loghi delle case editrici italiane, che possiamo per comodità, suddividere in categorie sulla base della filosofia ispiratrice:
I classicheggianti
Einaudi: l'emblema è quello di uno struzzo, riprodotto con una tecnica che ricorda quella xilografica, intorno a lui svolazzano strisce a bandiera con inciso il motto “Spiritus durrisma coquit” che significa un po' come “Lo spirito digerisce le cose più dure”, nel becco tiene saldamente un chiodo. È questo uno dei marchi più antichi, già appartenuto alla rivista La Cultura fondata nel 1882, e che fu soppressa dal fascismo nel 1936 e il cui ultimo editore fu proprio Giulio Einaudi; ma l'immagine ha origini ancora più remote, apparve per la prima volta in un'opera di prima del 1574 intitolata “Dialogo delle imprese militari et amorose di Monsignor Paolo Giovio” e dedicata ad un tale condottiero Girolamo Mattei Romano.
Adelphi: 1962, questo l'anno in cui viene fondata la casa editrice, da un fuoriuscito di lusso dalla casa editrice Einaudi: Luciano Foà, il motivo? L'editore si era rifiutato di pubblicare l'opera omnia di Nietzsche, Foà la prese così bene dal dare le dimissioni, fondare assieme a suoi sodali la casa editrice Adelphi e a pubblicare per i fatti suoi l'opera completa del filosofo tedesco. Come logo scelsero un antico pittogramma cinese “la luna nuova”, a simboleggiare la morte e la rinascita.
Bompiani: è il mio preferito tra i loghi di questa categoria, una B viene tratteggiata dal movimento delle pagine di un libro aperto, il logo è stato più volte rivisitato e il libro ha preso le sembianze di un fiore di loto, il tutto con uno stile tipicamente anni '20 del Novecento.
Guanda: confesso che per anni ho creduto che il logo rappresentasse una civetta, in uno stile a macchie di inchiostro vagamente fumettistico, eppure il nome della principale collana, “La Fenice”, avrebbe dovuto suggerirmi l'effettivo rapace raffigurato, mitologico per di più. Il simbolo è in realtà una suggestione del pittore Carlo Mattioli, ispirato ad un mosaico visto sulla tomba di D.H.Lawrence, e da questi donato alla neonata casa editrice, nel 1939.
Nottetempo: il disegno di un pastore che langue steso su un fianco, in bocca ha un fiore o un filo d'erba, osserva un gregge di pecore fuori dalla scena, o forse si è appisolato, scivolando con dolce diletto in quel sogno ad occhi aperti che equivale all'arte di leggere. Precisamente si tratta di Benino, il pastorello del presepio napoletano.
Laterza: l'acronimo GLF (che sta per Giuseppe Laterza e Figli) è al centro del marchio, circondato da un motto “Costanter et non trepide“ e da quello che somiglia ad un rosone romanico. Giuseppe Laterza era un tipografo, il figlio Giovanni subentrò nell'attività nel 1901 e decise di mantenere il nome della tipografia paterna, adottò ironicamente il motto “costantemente e senza trepidare” e inscrisse il tutto all'interno di un labirinto disegnato da Leonardo Da Vinci.
Rizzoli: nasceva nel 1929 come editrice di riviste periodiche, solo nel 1949 iniziò a prendere la conformazione che conosciamo oggi con la pubblicazione della Biblioteca Universale Rizzoli, una collana che proponeva i grandi classici della letteratura in edizione economica, il primo numero fu, ovviamente, “I promessi sposi”. Fino a questo punto non aveva un logo, l'identificazione era data dal semplice nome in stampatello maiuscolo, nel classico font Bodoni, finché non fu chiesto di metterci mano al famoso designer John Alcorn. Successivamente il logo è stato perfezionato via via negli anni sino a raggiungere l'aspetto attuale, in un perfetto connubio tra tradizione e modernità (la gamba della R allungata richiama la doppia scala delle sede storica di Milano).
Garzanti: nasceva, sempre a Milano, nel 1939, quando il forlivese Aldo Garzanti rilevò la casa editrice dei Fratelli Treves (fondata nel 1861). In principio fu caratterizzata perlopiù da un’attitudine enciclopedica e scientifica, da qui il logo della casa, la semplice lettera G dell’iniziale contornata da un quadrato e dalle diagonali tipiche del disegno tecnico. Ma fin da subito allargò il proprio campo di azione arrivando a pubblicare sia romanzi che saggi di svariate materie, da Pasolini a Miotto.
Marcos y marcos: casa fondata a Milano (aridaje) nel 1981, orientata immediatamente al mondo della narrativa italiana e straniera, e anche e soprattutto alla poesia. Adotta come logo un emblematico torchio tipografico, disegnato a mo’ di stampa ad incisione, al di sotto del quale si trova il logotipo, in carattere minuscolo, di marcos y marcos, direttamente dal nome proprio dei due fondatori, entrambi Marco, che nottetempo nella mansarda dove abitavano, inventavano, assemblavano e spedivano nel mondo edizioni numerate che parevano uscite dal ciclostile di un gruppo scout. Ma il risultato era meraviglioso.
Giuntina: è una casa editrice fondata nel 1980 (“a Milano” direte voi, no) a Firenze, da Daniel Vogelmann, con l’obiettivo primario di pubblicare in Italia quel potente libricino che risponde al titolo “La notte” di Elie Wiesel. Specializzata in cultura e letteratura ebraica ce lo esplicita fin dal logo, la lettera ebraica Gimel in bianco inscritta in un cerchio di colore rosso, riconducibile al significato di ‘restituzione giustificata’, interpretabile anche come testimonianza da rendere/restituire ai posteri.
Il Saggiatore: vien da pensare che il nome fosse inizialmente “Il Sagittario”. Nel 1958 (indovinate dove) il figlio di Arnoldo Mondadori, Alberto, volle affrancarsi dall’azienda paterna e fondò una casa editrice tutta sua con lo scopo di diffondere i più fondamentali libri delle varie arti dello scibile umano, a tal proposito il simbolo suggerito dal logo è il Sagittario, l’essere mitologico protettore di esploratori, filosofi e insegnanti, da qui la S che si trasforma in arco pronto a scoccare una freccia, bianca su cerchio rosso.
Edizioni Atlantide: una casa editrice appena appena nata, (siamo nel 2015, quindi in confronto a molte altre è ai primi vagiti) ma che ha le idee molto chiare, il loro è un vero e proprio manifesto programmatico: la pubblicazione di capolavori dimenticati e testi destinati a diventare i classici di domani, in tirature limitate e numerate distribuite attraverso una rete di librerie fiduciarie indipendenti e direttamente da internet, 10 titoli l’anno, 999 copie per ogni volume. Il loro logo è una A, che come il leggendario continente sommerso, sembra inabissarsi nello spazio, o forse... risollevarsi.