Il contenuto è più importante del contenitore. E va bene, credo che tutti siano d’accordo. Ma perché non curare anche il contenitore?
La copertina di Unknown Pleasures dei Joy Division, Joe Strummer che sfascia la chitarra su London Calling, la mitica banana di Wahrol per i Velvet Underground, lo scarafaggio di Mezzanine dei Massive Attack, la misteriosa camminata su Abbey Road dei Beatles… chi non ricorda almeno una di queste copertine? Chi non ne subisce il fascino? No, non siamo impazziti, semplicemente non vediamo motivo per cui le copertine dei libri non dovrebbero attrarre l’occhio dei lettori e giocare un ruolo rilevante, e magari diventare iconiche e proverbiali. E in effetti, a volte, già lo fanno!
D’altro canto il libro è anche un oggetto, qualcosa che teniamo per anni o per sempre sugli scaffali di casa nostra, che riprendiamo in mano, prestiamo, regaliamo, spostiamo o decidiamo di lasciare lì, proprio lì, perché quello è il suo posto.
Non vogliamo di certo sponsorizzare i produttori di specchietti per allodole, e non vorremmo mai che la scelta del lettore fosse subordinata esclusivamente all’aspetto esteriore del libro. Sosteniamo però che la copertina non possa essere una semplice membrana contenitiva, perché fa parte del libro, perché ne è lo specchio e il manifesto, perché il libro inizia lì. Ogni anno nelle librerie arrivano decine di migliaia di novità; vi immaginate se tutte avessero la medesima copertina? Dovremmo affidarci tutti a titolo e quarta di copertina: si può fare, per carità, ma un bel libro merita una bella cover, qualcosa che lo rappresenti e lo valorizzi.
C’è il lettore che si informa, divora recensioni, segue i blog e i giornali e arriva in libreria preparato e convinto. C’è chi chiede consiglio ai librai e ama condividere con loro qualche minuto di descrizioni, fascinazioni e copiosi aggettivi alla fine dei quali a volte si lascia convincere a prescindere dall’aspetto dell’involucro. Ma c’è anche una buona fetta di lettori che vaga sognante tra gli scaffali lasciandosi conquistare da odori, impressioni e suggestioni. Vengono “chiamati” dalla sirena di ulissiana memoria… nel nostro caso, la copertina.
Proviamo a fare una breve analisi in base a quello che vediamo e a quello che ci dite.
Ci sono numerose case editrici che lavorano sulla copertina in quanto format ripetibile e quindi riconoscibile, potenzialmente perpetuo. In questo caso è più importante l’identificazione del “marchio” rispetto alla singola cover. Sono case editrici che puntano sul catalogo e mirano ad entrare nella quotidianità dei lettori. Prendendo spunto dall’immutabile e iconica Adephi, provano a seguirne gli insegnamenti aggiornando alcuni stilemi grafici: parliamo ad esempio di NN editore, ormai ampiamente riconosciuta da chi frequenta le librerie, e l’Orma editore, che cambia leggermente caratteristiche in base alle collane, rimanendo comunque identificabile.
Esistono poi case editrici che adottano schemi ripetibili, ma che riescono a non somigliare a nessun altro. Ci riferiamo per esempio a Racconti editore, che con un formato maneggevole, la copertina bianca e ruvida e un disegno centrale perfettamente studiato per rappresentare il contenuto, ha subito fatto centro tra i lettori attenti e i cercatori di chicche. Le raccolte “Oggetti solidi” di Virginia Woolf e “Stamattina stasera troppo presto” di James Baldwin sono di grande impatto, “La mia guerra segreta” di Philip ò Ceallaigh impeccabile, la variante scura di “Viaggi sulla luna” semplicemente geniale.
Ma parliamo anche di Mattioli 1885, che rinuncia ai risvolti, ma che con i suoi angoli stondati e le strisce di colori ben calibrati a dividere la foto principale è diventata un must tra i feticisti del libro. Un titolo su tutti? “Il grande cielo” di A.B. Guthrie: fotografia evocativa, cartoncino ruvido e quasi grezzo, che da soddisfazione al tatto, carattere del titolo sobrio ma deciso. Ci piace un sacco!
Continuando il nostro viaggio ci imbattiamo nelle case editrici che vogliono usare le loro copertine come veri e propri esperimenti grafici. E’ il caso di 66th and 2nd, una delle più coraggiose e “spinte” in Italia. Se la collana sportiva ha uno schema fisso (sfondo bianco candido e disegno dello sportivo in questione al centro) le copertine di narrativa sono un’esplosione di creatività e coraggio. 66th lavora molto sul font dei titoli, su proporzioni e incroci, gioca a creare piccole illusioni ottiche, compone dei veri e propri elaborati di design, forti, riconoscibili, eppure sempre diversi tra loro. Una menzione speciale va a “I sogni di Mevlidò” di Antoine Volodine, una delle migliori copertine degli ultimi anni a parer nostro.
Molto apprezzato è anche il lavoro di D Editore, che predilige formati contenuti e maneggevoli e una grafica che si adatta alle varie collane, comunque visivamente efficace, capace di rimanere impressa come ne “I racconti del Dakota” di Hamlin Garland
Poi c’è chi gode da molto tempo di una grande ammirazione trasversale tra i clienti, e che grazie al suo lavoro elegante e intelligente è stata copiata da molti altri. E’ il caso di Neri Pozza e delle sue cover: fotografie in bianco e nero o virate ai toni del seppia; figure femminili affascinanti e vagamente misteriose; porzioni di quadri classici scelti con attenzione. Immagini evocative stampate su cartoncino morbido e rigato che sembrano quasi tridimensionali. Copertine che restano tremendamente efficaci anche quando abbandonano le figure umane per immortalare oggetti o paesaggi, come nel caso de “Il peso” di Liz Moore.
Una menzione particolare va fatta anche per una “major” come Rizzoli, che con la collana Nero Rizzoli ha dato vita ad una tipologia di copertine molto apprezzata, e molto “pop”, nel senso buono del termine. Carta opaca e illustrazione che si avvicina alla graphic novel, di impatto immediato. Copertine che ci raccontano già una storia, che cominciano a narrare prima che il romanzo venga aperto e sfogliato.
E proprio questo sta piacendo ai lettori!
Le copertine devono parlarci, raccontarci qualcosa, alludere al contenuto, svelarci qualche indizio, incuriosirci, spingerci a entrare nella storia. E alla fine di questa passeggiata tra i nostri scaffali abbiamo trovato il protagonista indiscusso, l’editore che incarna al momento l’interprete più talentuoso ed efficace: Keller Editore da Rovereto.
Ogni copertina è un’opera a sé, ogni cover un’esperienza, un piccolo viaggio; un intelligente eco delle storie che ci accingiamo a leggere. Cartoncino opaco e morbido, fotografie e disegni perfettamente scelti e rappresentativi, giustapposizioni che incuriosiscono e attirano. I risvolti nascondono sempre altre sorprese. Prendiamo ad esempio “Piano D” di Simon Urban: il dettaglio della Porta di Brandeburgo in copertina è il preludio agli incredibili disegni di Roberto Abbiati all’interno. Un romanzo che diventa una piccola opera d’arte tutta nostra. O “Wilderness” di Lance Weller, in cui le foto ci catapultano istantaneamente nella geografia del romanzo. O ancora “L’eco delle balene” di Sean Micheals, con all’esterno lo skyline di New York in bianco e nero turbato da qualche simbolo elettrico sapientemente sparso e all’interno una magnifica mappa della city negli anni ‘30 e il teremin, strumento musicale protagonista del libro…
Keller rappresenta, per la nostra libreria, il massimo per quanto concerne il lavoro grafico (e non solo, ma questo è un altro discorso).
Dunque, questo il nostro identikit della copertina efficace: copertina morbida, ruvida (che però rischia un po’ di rovinarsi) o quantomeno opaca, illustrazione (foto o disegni, è indifferente) che racconti già, a modo suo, una storia; scelta attenta del font per il titolo e il nome dell’autore. Se poi ci sono i risvolti di copertina, perché non stampare qualcosa anche all’interno?
E per finire, qualche copertina iconica (per noi della Ub!k Gorizia), senza la quale forse i libri in questione non avrebbero avuto la medesima (meritata aldilà della cover) attenzione:
“Reykjavik cafè” di Sólveig Jónsdóttir, Sonzogno: cover morbida, opaca e disegno semplicemente perfetto. Siamo già pervasi dall’atmosfera della storia, siamo dentro al romanzo.
“La ragazza che dormì con Dio” di Val Brelinski, Nutrimenti Edizioni. Cartoncino ruvido (modello “acquarello”) e rigato, disegno semplice, quasi infantile ma molto efficace ed in sottofondo, appena accennate, le righe del manoscritto redatte a mano dall’autrice. Oltretutto proprio Nutrimenti è la prima ad aver approfittato dei risvolti per stamparci delle foto interessanti.
“Il convalescente” di Jessica Anthony, Pidgin edizioni. Siamo al banco frigo di un supermercato e ci troviamo di fronte una bella bistecca, rossa, con tanto di codice a barre e prezzo. Semplicemente geniale.
“Stoner” di John Williams, Fazi Editore. Un volto, ma un volto tagliato appena sotto gli occhi (e gli occhiali) sulla parte bassa della copertina, e una carta da parati classica e sobria alle sue spalle. Tanto basta per volere fortemente scoprire di più su di lui.
“La verità sul caso Harry Quebert” di Joel Dicker. Bompiani (prima edizione). Qui il merito è tutto della immagine scelta: cupa, misteriosa e inquietante. Un auto ferma con la portiera aperta, una ragazza scalza in una zona suburbana di una grigia città. Di notte. In fondo il bosco. Paura eh…
Gli Oscar Draghi, collana di Mondadori che reinterpreta in chiave gotica antiche copertine di classici senza tempo. Cover rigide e formato maxi, stampa in rilievo con illustrazioni che strizzano l’occhio al mondo della graphic novel.
“Febbre” di Ling Ma, Codice Editore. Uno dei primi romanzi pubblicati da questo editore (finora specializzato in saggi) colpisce con uno stile minimal, un’illustrazione che ci getta nella trama irretendoci con colori accesi e atmosfere stranianti. Se il buongiorno si vede dal mattino…
E per finire un consiglio:
per quanto possa esser attraente il contenitore, non rinunciate mai a guardare anche il contenuto!!